Per mia madre

 

Mia madre è morta il 28 maggio 2001. Per la morte di mio padre avevo sentito già durante la non breve malattia il bisogno di scrivere qualche cosa per me, per ricordarlo. Per mia madre no. Forse perché quando mia padre era malato non avevo una figlia piccola, forse perché la malattia di mia madre è stata più breve e improvvisa, forse perché quando muore la madre si ha del rancore per essere stati lasciati soli.

 

A due anni da quella morte, per una serie di circostanze particolari, mi è venuta voglia di scrivere per ricordarla. Mia madre era nata l’11 giugno del 1919, segno dei Gemelli, un segno di aria, un segno doppio. Non era una madre molto dolce, era una maestra anche con i figli, probabilmente ancor più con mio fratello che con me. Era una donna in anticipo sui tempi, femminista quando il termine femminismo non era ancora presente nel dizionario. Mio padre, che non era un uomo arretrato, ha sicuramente subito una pressione che altri uomini della sua generazione non hanno avuto. Solo quelli della mia generazione e delle seguenti danno pi o meno per scontato lavare i piatti e cercare di non tradire la compagna. Questo, insieme ad altre questioni, ha generato una famiglia non felice, ma questa è un’altra storia. Non è stata una madre facile per i figli, una moglie semplice per mio padre. Forse - però - non ci sono mai state donne semplici. O forse è il motivo per cui ho sempre preferito donne non banali.

 

I segni doppi hanno caratteri mutevoli. I segni d’aria pure. Mia madre aveva grandi allegrie e pesanti tristezze e depressioni. Voglio ricordare mia madre per episodi, alternativamente allegri e tristi. So che scrivendo di lei scriverò di me, come è successo per mio padre, ma in fondo è quello che voglio.

 

In barca

 

Con un po’ dei soldi della liquidazione mia madre ci ha comprato una barca a vela. Devo dire che non mi ricordo assolutamente come è successo, come è nata l’idea. So che nell’inverno del 1980 ho comprato un Meteor usato a Lerici e l’ho portato sul Lago Maggiore, per ricordarmi come si faceva ad andare in vela, dopo dieci anni di disabitudine. Il Meteor si chiamava Karlshrue, probabile reminiscenza di un amore tedesco del precedente proprietario. Mi ricordo veleggiate nella nebbia con mio fratello, con un freddo incredibile, per il gusto di andare. Mi ricordo un colpo di Mergozzo, il vento fortissimo e improvviso che scende da nord, con noi che non riuscivamo a ridurre la vela per rimontare e siamo stati capaci di fermarci solo a Ispra, prendendo al volo un corpo morto.

 

Nell’estate mio fratello e io dovevamo portare la barca in Friuli e partire per la Jugoslavia, come si chiamava allora tutta la Jugoslavia. Mio fratello preferì – giustamente – seguire un amore in Inghilterra e io provai a partire da solo. Dico provai perché ero ben felice di andare da solo ma non ci riuscii: mia madre venne con me. In teoria per accompagnarmi i primi giorni, in realtà per tutto un mese.

 

Perché volle venire anche lei? Una mamma apprensiva sarebbe venuta per paura di un naufragio, una mamma accudente per accudire. Sono sicuro che il movente principale se non assoluto di mia madre fu che aveva voglia di fare una vacanza in barca, il secondo che non aveva voglia di fare le vacanze con mio padre. Il Meteor è una barca molto piccola e scomoda, non una vela di quelle che ho avuto in seguito, e mia madre aveva oltre 60 anni, ma si divertì pazzamente. Io un po’ meno, ma adesso penso sia stata la cosa più bella che ho fatto insieme a lei.

 

Partimmo da Grado e restammo solo in Istria, ma fu sufficiente. Lei era una maga a creare situazioni imbarazzanti e a socializzare con le persone. Mi ricordo una cena in fondo ad un fiordo sul lato est dell’Istria, con lei che per scherzo faceva finta che io fossi il suo giovane amante, con i camerieri che mi guardavano schifati e mi buttavano i piatti sul tavolo. Amava follemente gli animali. In un altro approdo conoscemmo una coppia di farmacisti di Zagabria che convivevano con una famiglia di porcospini. Non siamo tornati a casa con un cucciolo solo perché era l’inizio del viaggio e avere sul Meteor anche un piccolo di porcospino era complesso, o meglio perché il cucciolo avrebbe sofferto.

 

A Pirano bisogna ormeggiare senza corpi morti a disposizione, quindi si butta l’ancora a poppa e si fa filare la cima avvicinandosi al molo. Lei a prua per gettare la cima a qualcuno sulla banchina, io a poppa al motore e all’ancora. Mia madre quando era allegra pensava di essere in un film degli anni ‘40 o in una novella di Liala, quindi salutava con una mano e con l’altra si teneva il cappello di paglia. La cima da lanciare l’avrebbe presa all’ultimo momento, forse, e d’altronde andando in banchina tra due altre barche il problema è fermarsi giusti, non legarsi subito.

Purtroppo io gettai l’ancora troppo presto (primo errore) e la cima dell’ancora non era legata da nessuna parte (secondo errore).  La fine della cima mi passò sulle mani e io d’istinto – per non perdere l’ancora – misi il motore in folle e mi tuffai dietro la cima che stava andando a fondo, lasciando mia madre a prua, che salutava il pubblico sulla banchina. Il pubblico, che aveva visto cosa mi era successo, faceva ampi segni a mia madre che – invece di capire e guardarsi indietro – salutava con ancora maggiore esuberanza. Io ero in acqua con la catena che mi tirava giù.

Il Meteor entrò trionfalmente tra le due barche con troppo abbrivio e si fermò contro la banchina sbattendoci pesantemente contro. Mia madre consegnò la cima al pubblico e finalmente, girandosi, capì quello che era successo. Lei rise tutta la sera. Io, ritornato in barca, mi sentì un marinaio fallito grazie anche agli sguardi di compatimento dei vicini di ormeggio. I danni alla prua non furono gravi, perché il pulpito staccandosi aveva attutito il colpo, e proseguimmo la navigazione.

 

I regali di compleanno

 

Non sopportava che ci si dimenticasse dei compleanni. Non sopportava che i figli non le facessero un regalo di compleanno. Un classico – quando eravamo piccoli, alle elementari - erano le calze color sole, di una misura che non ricordo più, ma sicuramente piccole, perché era una donna minuta.

 

Un compleanno, avrò avuto 8 o 9 anni, non avevo comprato niente, mi ero dimenticato. Ci fu la sfuriata e io scesi in giardino a prendere dei lilium: ce ne erano tanti, blu-viola. Tornai con il mazzo e fu peggio, i fiori finirono nella pattumiera. Mi era sembrata una bellissima idea recuperare la dimenticanza con un mazzo di fiori, ma mi ero comportato in realtà – fin da piccolo – come un maschio standard. Cosa che poi ho continuato a fare. Mia madre non me lo aveva perdonato.

 

Voleva l’attenzione. Voleva, come tutte le donne, che i pensieri ed i regali - qualsiasi tipo di regalo – fossero un segno di attenzione, non un obbligo. Voleva che si pensasse a lei. I maschi invece – non credo di dire niente di nuovo - tendono a pensare molto alle femmine in fasi molto limitate della loro vita: quando si sono appena innamorati (quelli più civili) o quando stanno insidiando la preda (quelli meno). Quando pensano di essere traditi, anche, ma in questo caso stanno pensando a se stessi. Fuori di queste fasi ci si pensa lo stesso, ma è diverso. O forse hanno effettivamente ragione loro, e siamo in colpa noi.

 

I parenti di mia moglie mi hanno chiamato per un po’ di tempo fiorellone, per il mazzo di rose particolarmente abbondante che mandai i primissimi tempi ad Adriana, con un biglietto di auguri di compleanno, anche se non era il suo compleanno. Poi anche i miei regali sono progressivamente scemati di numero e di qualità.

 

Penso che la situazione reale, oggettiva dei rapporti tra mio padre e mia madre non fosse peggiore di tante altre. Credo che però l’insoddisfazione di mia madre per la propria vita coniugale fosse dilaniante per lei. Questo dolore a volte sordo e a volte acuto, continuo, le ha progressivamente rovinato la vita. Per un figlio è difficile dare valutazioni, pagelle, colpe all’uno e all’altro: forse propendevo per mia madre da giovane, poi per mio padre, ora non so. Sicuramente non siamo stati tenuti in disparte, ma siamo stati fortemente investiti da tutto. Non so quale sia stato l’effetto: se possiamo dire che ne portiamo le cicatrici, che ci ha fatto bene, che ci ha fatto male. Non so se ringraziare o disapprovare mia madre per non essersi separata. Lei diceva che non l’aveva fatto per sua madre, che era molto religiosa. Non mi ricordo di averla mai sentita dire che non l’aveva fatto per i figli, o per il marito. Chissà cosa sarei adesso, cosa sarebbe stata lei, più libera. Forse non ha trovato un’alternativa sentimentale, di cui aveva profondamente bisogno. Non si è più innamorata.

 

In barca(2)

 

Mia madre amava cantare e ballare. Mio padre no. Pensandoci a posteriori, a me sarebbe piaciuto imparare a ballare, ma per vari motivi questo non è mai successo. Mia madre mi faceva ballare, qualche volta, quando ero ancora un ragazzino, nelle occasioni canoniche: capodanno, carnevale, ..... Cantava canzoni come: “parlami d'amore mariù”, “l'amore è una cosa meravigliosa” e “mapola”. Anche in barca ovviamente cantava e dato che era molto felice cantava molto.

 

Stavamo tornando da fiume verso la punta dell'Istria. Ci eravamo fermati per la notte in un posto stranissimo, un piccolo fiordo orientato est-ovest, dove uno scarico di acqua calda di un qualche tipo di industria generava un ambiente vagamente inquietante. Nel silenzio della notte assolutamente senza vento, con una vaga nebbiolina sull’acqua, saltavano all’improvviso grossi pesci.

 

Alla mattina il tempo si era fatto ventoso. Uscendo dal fiordo ci rendemmo conto che il vento era già forte, da sud. Proseguendo, il vento rinforzava sempre più. 

 

Avevamo un lungo tratto di costa orientata da nord a sud, bisognava quindi rimontare il vento. il Meteor non stringeva molto il vento e mia madre non era agile alle manovre. Per fare in fretta, disonore dei velisti, accesi il motore. Non si risaliva comunque molto velocemente e prendendo l’onda che stava montando proprio in prua, la barca ballava e soffriva molto.

 

Dopo varie miglia la costa cambiava direzione e si orientava verso ovest. In fondo a questo tratto c’era un altro fiordo molto profondo e sinuoso (si chiama trgt, mi pare) che poteva dare protezione.  Proseguire verso sud tagliando il golfo era impossibile, il vento era sempre più forte e l’onda più alta e formata.

 

Ma se il primo tratto di costa non era stato pericoloso, dato che al massimo se non si riusciva a risalire si poteva voltare e tornare indietro, il secondo con il vento e l’onda di fianco era a rischio, perchè vento e onda spingevano verso la costa. Non andando a vela, se mollava il motore si poteva andare a sbattere facilmente. Con molta difficoltà misi una piccola tormentina e andammo avanti. ero decisamente preoccupato,  anche perchè la costa era rocciosa e alta e l’onda era ripida al punto  che a volte l’elica usciva dall’acqua. Mia madre aveva cominciato a cantare alla partenza una canzone che ha un ritornello che fa “vento, vento portami via con te” e a fumare come una turca, che era una delle sue attività preferite. Era assolutamente inconscia della paura che credo si vedesse sulla mia faccia e assolutamente felice di essere nel mare e nel vento, in quella che per la nostra piccola barca a me sembrava una specie di "tempesta perfetta".

 

Entrammo a trgt con il vento ormai fortissimo in poppa e le onde che montavano ancora più alte e ripide stringendosi nel fiordo, planando sulle creste. anche io ero assolutamente felice. Restammo nel fiordo tre giorni, ad aspettare la fine della mareggiata.

 

La morte di mia mamma

 

Mia madre è morta per un tumore al polmone, come mio padre. E’ morta per una metastasi al fegato causata da un tumore al polmone non diagnosticato. Aveva quasi 82 anni e quindi il suo tempo era già trascorso quasi tutto. Questo non vuole dire che consideri perdonabile la serie di superficialità, sottovalutazioni ed esami con referti sbagliati che hanno caratterizzato la storia della sua malattia. Era da gennaio che aveva male ad una zona sul davanti, sotto la spalla. Radiografie ed ecografie non avevano evidenziato niente. Una ecografia al fegato, fatta per vedere come mai non digeriva più, aveva ancora meno fame del solito e alcuni indici erano alterati, aveva avuto un referto assolutamente negativo. Se fosse stato giusto, non sarebbe cambiato niente, ma sarebbe stato giusto.

 

Il dolore era sempre più forte, gli antidolorifici antisufficienti. Qualche giorno prima di Pasqua l’abbiamo fatta ricoverare. Una ecografia al fegato ha evidenziato che il fegato non esisteva più, era solo una metastasi. E’ stata dimessa il 18 aprile con una prognosi di un mese di vita. Anche se era stanca e minuta, ha resistito fino al 28 maggio. Una amica medico ci ha detto che il coma epatico l’avrebbe fatta progressivamente assopire. Non è stato proprio così. Insistendo siamo riusciti a passare velocemente alla morfina, e questo è stato un bene, per lei e per noi.

 

La cosa più dolorosa è stata dover rispondere le volte che mia mamma chiedeva: “ma cosa ho?”. Come si fa a dire alla propria madre che non si può fare più niente? Si possono dire bugie, a volte si devono dire bugie. Ci sono tante cose che si vorrebbero dire e chiedere, ma non si riesce o non si può. Poi varie altre cose dolorose, altre strane. Scoprire come è difficile trovare una persona per l’assistenza. Scoprire che ci sono luoghi dove ragazze ucraine e moldave aspettano lavoro e parlando con una specie di maitresse ne scegli una adatta e ti chiedi se lì vengono scelte ragazze per qualsiasi attività.

 

Poi il tempo si comprime, il coma finalmente arriva ma non è meglio. Poi non c’è più niente da dire, solo aspettare.

 

Dopo avrei voluto fare qualche cosa come dipingere sui muri dell’ospedale insulti per il medico che aveva fatto l’ecografia sbagliata, o rompere i vetri del reparto di radiologia, o insultare il medico di base che non aveva capito niente. Ci fu solo una lettera all’URP dell’Azienda Ospedaliera e una risposta diplomatica. Mia mamma non c’era più.